MUDRA
Fuochi di Coscienza
Di Mario Umberto Verri
232 pag. – Brossura
Anno 2014
Sovera Edizioni – Roma
L’antica tradizione dello Hatha Yoga enumera una classe specifica di tecniche dette Mudrâ e Bandha, considerate nel loro insieme pratiche essenziali per il risveglio della Kundalî, l’energia primordiale racchiusa in ogni essere umano, principio vitale dell’individuo e fondamento dell’universo. Di queste pratiche parlano ripetutamente i testi classici della letteratura Yoga e in primo luogo la Hathapradîpikâ del saggio Swâtmârâma Yogindra-ji (XIV sec.), che nei suoi versi ne descrive dieci, indicandone le caratteristiche, la corretta esecuzione e gli effetti. In particolare, Shrî Swâtmârâma riserva alla trattazione di Mudrâ e Bandha la terza Lezione della sua opera, dopo l’esposizione di Shatkarma, Āsana, Prânâyâma e prima delle tecniche di Nâdânusandhâna e Kundalî-prabodham, secondo una progressione logica e consequenziale verso gli stati più alti di coscienza.
In questo volume sulle Mudrâ della tradizione Hatha l’autore Mario U. Verri, maestro Yoga di grande esperienza, si sofferma sul testo di Swâtmârâma-ji per affrontare, in maniera approfondita e fuori dagli schemi usuali, il discorso relativo a tali gruppi di pratiche, cercando di sviscerarne tutti gli aspetti, e metterne in luce l’enorme potenziale evolutivo. È un lavoro che giunge a seguito del Commentario alle prime due Lezioni della Hathapradîpikâ realizzato con le precedenti pubblicazioni dedicate agli Āsana classici e al Kumbhaka Prânâyâma, e si inserisce in un progetto mirato alla lettura dell’intera opera di Shrî Swâtmârâma, accanto alla cura editoriale di opere della classicità Yoga.
Il Commento (Bhashya) è ampio e puntuale, caratterizzato dalla scrupolosità del ricercatore e dalla passione di chi ha dedicato la vita alla disciplina, attento all’esposizione esatta delle tecniche e alla valutazione degli effetti, ma soprattutto è il risultato dell’esperienza personale di anni di pratica incessante e sperimentazione giornaliera, studio e riflessione, meditazione su ogni singolo concetto e intuizioni profonde che balenano nelle regioni più profonde dell’essere. Da queste intuizioni provengono gli innumerevoli spunti che il maestro Verri offre al praticante come all’adepto avanzato, con la volontà di condividere quanto realizzato e l’invito a non sentirsi mai appagati, mantenere vivo l’interesse per la scoperta, spingendo chi segue verso un obiettivo di comprensione che è sempre ‘oltre’, e che presuppone la partecipazione attiva a quel processo di scoperta in continua espansione. Attraverso la lettura meticolosa dei versi, passo dopo passo, si svolge un discorso che assume subito la dimensione dell’insegnamento profondo rivolto all’essenza individuale, in comunione con la tradizione degli antichi maestri e saggi hindu, animato da questa particolare branca dello Yoga, ma in realtà veicolo di tutta la disciplina ai suoi massimi livelli.
L’autore si prende cura del lettore accompagnandolo sapientemente tra le pagine dell’opera di Shrî Swâtmârâma, e lo fa seguendo una metodica basata su alcuni punti fondanti che articolano lo svolgimento dell’analisi. In primo luogo la lettura parte da una traduzione di prima mano dell’originale sanscrito, che non dà per scontati i significati comunemente accettati, ma propone una terminologia quanto più fedele al testo antico. Nel caso del sanscrito, si tratta di un’operazione complessa, possibile solo con una valida conoscenza della lingua, considerato ad esempio che uno stesso termine può rimandare a significati ben diversi, da interpretare nel contesto del loro utilizzo. In questa fase, l’autore identifica alcune parole chiave, o espressioni di particolare rilevanza, e li propone come segnalibri all’interno del suo discorso, indicandone il significato preciso in quella particolare circostanza, con tutte le possibili alternative di interpretazione. Questo permette una spiegazione molto curata dei concetti espressi nel testo e una comprensione a più livelli di ciò che viene realmente affermato a proposito delle varie pratiche, con l’indicazione di effetti e implicazioni, da quelli evidenti a quelli più sottili e nascosti. È necessario infatti accennare ad una caratteristica meno nota del testo della Hathapradîpikâ che, come altri testi sapienziali dell’antichità, è stata redatta seguendo un linguaggio ermetico, intenzionalmente criptico, che pur evidenziando un piano dottrinale di base, ne nasconde abilmente altri più profondi e vicini alla sfera spirituale, sotto forma di codici e immagini simboliche che veicolano conoscenza e insegnamenti esoterici. Si tratta del Sandâ-bhâsha, ovvero del “Linguaggio del doppio intendimento”, che il maestro Verri ha toccato nella sua indagine percorrendone le vene nascoste e da cui porta alla luce sprazzi di conoscenze e verità sottese.
Accanto a queste, nell’esame dei versi, l’autore si muove anche in direzione di altre importanti opere della tradizione Hatha, mettendone a confronto i passi similari e fornendo strumenti ulteriori di studio con un corredo esteso di annotazioni e citazioni dettagliate. Nasce così una sorta di dialogo a distanza, una comparazione tra voci diverse di una stessa famiglia, a tutto vantaggio dell’approfondimento. Infine, là dove si ferma l’insegnamento classico, si esprime qualcosa che tocca l’animo con parole diverse per mezzo della poesia, nella veste di un filo di brevissimi aforismi che il maestro Verri dissemina piacevolmente lungo il percorso espositivo. Si ritrovano isolati, semplici e musicali, vivi, e la mente li accoglie come attimi di sintesi, di conclusione e apertura allo stesso tempo verso nuovi spazi, come semi nel vento, come punti di luce lungo un cammino.
Dott. Fabrizio Ambrosi de Magistris