SVADHYAYA
Svadhyaya, letteralmente studio di sé, è uno dei cinque niyama dell’Astanga Yoga di Sri Patanjaliji. È un processo di auto-osservazione o introspezione.
Negli Yogasutra viene trattato in particolare, in II-1, II-32, II-44. Per comprendere efficacemente lo “studio di sé”, è bene seguire gli Yogasutra, che lo mettono in relazione ai niyama Tapas e Isvara-pranidhana, denominandoli tutti e tre Kriya-Yoga o Yoga pratico, preliminare.
Con il termine Tapas si intendono tutte le pratiche ascetiche che servono a controllare e purificare (anche con la rinuncia) il corpo fisico, il corpo mentale e a sviluppare la volontà. Tapas sta per “tepore”, calore, lo stesso che serve a far dischiudere le uova, che non ha la minima variazione di temperatura. Isvara-pranidhana è un processo di trasformazione interiore del sadhaka, un arrendersi consapevole alla Volontà Universale; riguarda il campo emotivo.
Svadhyaya è lo sviluppo dell‘intelletto attraverso le seguenti fasi:
1) Studio delle Scritture Yoga;
2) Meditazione e riflessione sulle Verità atemporali con sradicamento di illusioni e attaccamenti;
3) Utilizzazione dei Mantra con produzione di uno stato di assorbimento profondo, fino a trovare nella propria realtà ogni conoscenza e devozione.
Ed è proprio in quest’ultima fase che avviene il “miracolo” tanto atteso. Il fine principale dello Svadhyaya è di gettare un ponte tra il sadhaka e l’Oggetto della sua ricerca. Avviene la comunione con l’Ista-devata o divinità, sua meta finale. La natura di tale unione sarà differente secondo tipologia e capacità del sadhaka e natura dell’Ista-devata. Citando Sri Patanjaliji: (II-44)
“Mediante lo studio di sé deriva l’unione con la divinità desiderata”.
Tale il niyama Svadhyaya.