Parte seconda
La base concettuale dello Yoga
“Yo’pānaprānayoryogah svarajoretasastathā sūryacandramasoryogah jivātmaparamātmanoh evam tu dvandavajālasya samyogo yoga ucyate”.
“L’unione di Prāna e Apāna, o allo stesso modo quella di Rajas e Retas, o del Sole e della Luna, o del Jivātma e Paramātma (in sintesi) la fusione di tutte le coppie di opposti, questo è chiamato Yoga”.
Yoga-bīja 89-90
Questo spunto tratto dallo “Yoga-bīja” (che tuttavia non è tra i testi compresi nello studio) è di grande utilità ed esprime correttamente il nostro punto di vista, relativamente al soggetto argomento di questa sezione. Non soltanto fornisce una definizione di Yoga che pure ben si adatta ai nostri testi, ma specificando le coppie di opposti che possono essere considerate per tale fusione, rivela il quadro concettuale alla base del loro sistema.
Vediamo qui di seguito.
Concetto di Śakti
Come sappiamo, tutti i cinque testi postulano l’esistenza di “Śakti” che chiamano anche “Kundalinī”. L’insieme delle pratiche, quali vengono prescritte, puntano direttamente o indirettamente al risveglio di questa Śakti (es. Kundalinī-prabodha), suscitando certe correnti percettibili ne corpo dal basso verso l’alto, come può essere dalla regione del coccige fino al cervello. Ora, questa Kundalinī- Śakti non è una mera ipotesi concettuale ma qualcosa di pratico, come la stessa elettricità che può essere dimostrata attraverso i suoi effetti. Questo fenomeno è testimoniato da molti praticanti Yoga che riescono ad avvertire il passaggio di queste correnti dentro il loro corpo e anche dagli effetti neuro-fisiologici di tali flussi. Inoltre, queste correnti sembrano manifestare le stesse regolari disposizioni nella struttura corporea anche quando le persone che ne fanno esperienza non possiedono altre conoscenze in merito. Il fenomeno è un fatto e non una fantasia.
Sarà opportuno quindi esaminare più dettagliatamente il concetto di Śakti, in quanto tale, per l’importante posizione che occupa nel pensiero filosofico indiano in generale e nel sistema dello Yoga così come viene formulato in questi testi. In particolare la Śakti si risolve nella Kundalinī- Śakti attraverso vari stati intermedi.
Il concetto di Śakti come Potenza primordiale risalta con evidenza attraverso fasi successive della letteratura e del pensiero filosofico indiani, variando significato e connotazione. Si parla di due forme, l’una visibile e l’altra sottile. Mentre il mondo fenomenico rivela l’azione evidente della Śakti nella realtà esteriore, l’attività sottile che interviene stimolando la mente ne manifesta l’azione nella realtà interiore.
Śakti fa sentire ovunque e sempre la sua presenza, come l’effetto da ogni causa, nel movimento dei corpi, nella manifestazione dell’energia, o anche nell’attribuzione di significato attraverso una parola (es, in “sphota”). Śakti è allo stesso tempo causa materiale (Upadānā) ed efficiente (Nimitta) dell’Universo, essenza primaria del mondo e origine di ogni sorta di diversità. Śakti possiede entrambi gli aspetti, il trascendente e l’immanente, ciò che risolve la dualità di materia e spirito, così come quella di causa ed effetto. La divisione di cui si parla, tra entità inerti e intelligenti, non sussiste più quando si ricordi (con gli Śakta) che ogni cosa è manifestazione di Śakti. Peraltro, nello Yoga di Patañjali, Śakti viene definita Jada o Acit, e Cetana o Cit, a seconda del riferimento ad un sostrato inerte oppure cosciente (cfr. Drkdarśanaśakti o Svasvāmiśakti).
Gli autori dei nostri testi si discostano da questo punto di vista, e argomentano che tale “Acittaśakti” è semplicemente una modificazione grossolana di “Cittaśakti”, dal momento che Śakti è uno e tutto-nel-tutto. Śakti non è solo il Principio Creatore dell’Universo ma l’Uno che racchiude in sé ogni cosa. Allora, ciò che viene chiamato creazione e dissoluzione dell’Universo non è altro che, rispettivamente, l’aspetto evolutivo (Parāk) ed involutivo (Pratyak) della Śakti. Sembra che questo concetto della Śakti si sia sviluppato al tempo in cui le culture e le tradizioni Agama e Nigama si integrarono, e l’idea di Prāna propria della cultura Agama si identificò con quella di Śakti del Nigama. Infatti entrambe venivano considerate come due facce di una stessa medaglia, essendo Śakti l’aspetto potenziale di Prāna e Prāna la forza motrice di Śakti. Questo è il motivo per cui, nei testi qui studiati, riferendoci al “Kundalinīprabodha” i due termini sono usati come sinonimi…/CONTINUA/
Chi è interessato ad avere l’opera completa, di cui questo è un estratto, può contattare la segreteria del Centro (vedi alla voce “Contatti”)
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Prezioso articolo!
Grazie!
Buongiorno a tutti! l’articolo di sopra è molto bello. Vi faccio i miei complimenti.
Personalmente adoro il messaggio dell’Advaita, così semplice ed illuminante che, talvolta approfondendo un autore, che porta avanti una sua visione, si sviluppano alcuni suoi aspetti particolari e si rischia di non cogliere l’ovvietà a monte. Vorrei dare un piccolo contributo riassumendo il concetto di base dell’Advaita con un linguaggio accessibile.
C’è un unica sostanza, lo spirito eterno. Questo spirito eternamente “è” ma non si auto percepisce. Per percepirsi infatti bisogna essere almeno in due, c’è bisogno di un soggetto che vede un oggetto. Allora lo spirito si organizza in mille forme viventi, dotate di sensi tra le quali l’uomo.
Perchè lo fa? Per potersi percepire, conoscersi e fare esperienza di se, proprio tramite i sensi di queste forme viventi. Un esempio: L’uomo mentre vive in un ambiente diversificato, vede, sente tocca, il cane che a sua volta fa lo stesso con l’uomo, così vale per la capra, che esperisce la rondine ecc. Questa interazione continua è tutta un illusione perchè alla fin fine è lo spirito che vede se stesso tramite le forme viventi che ha creato. Compreso? Spero di si!
Adesso però viene il bello. In tutto questo gioco apparente, si genera un grave inconveniente.
Le forme interagiscono e si prendono sul serio, dimenticandosi di essere solo oggetti nelle mani dello spirito, si credono indipendenti ed autonome. In particolare l’uomo si crede indipendente e a se stante, si sente separato e per questo minacciato. Per questo motivo soffre. Per uscire da questa condizione (dovuta ad una erronea interpretazione) egli si pone degli scopi, lotta per obiettivi propri e soffre nella vita per ciò che non gli va bene. Ma questa lotta non fa altro che peggiorare le cose, perchè parte dal presupposto di un essere separato. L’Advaita afferma che per smettere di soffrire si debba uscire dall’illusione di essere soggetti a se stanti, riconoscere la verità di un unico spirito. Nel momento in cui ci si renderà conto di essere solo una forma che lo spirito si è data, scomparirà la soggettività e la sofferenza individuale che a lei si lega. Una volta compreso che l’uomo è in realtà spirito eterno, l’essere umano tornerà al vero Se. Con tale ritorno ogni sofferenza cessa in quanto non appartiene a nessuno, non è mai esistito nessun individuo separato ma solo lo spirito eterno, l’unica Coscienza. In questo senso veramente nessuno nasce e nessuno muore.
Un caro saluto.
Grazie Claudio! Il Maestro è d’accordo con te…..Om Shanti